Francesco Nucara apre i lavori del Consiglio Nazionale del Pri/Tornare a far politica in prima persona

Verso la Costituente Liberaldemocratica

Linee guida della relazione che il segretario terrà al Consiglio Nazionale

Scriveva Piero Gobetti su "La Rivoluzione Liberale", anno 11, num.19 del 19 giugno 1923: "Il nostro liberismo, che chiamammo rivoluzionario per evitare ogni equivoco, s’ispira a una inesorabile passione libertaria, vede nella realtà un contrasto di forze, capace di produrre sempre nuove aristocrazie dirigenti a patto che nuove classi popolari ravvivino la lotta con la loro disperata volontà di elevazione, intende equivocare la Costituzione solo come una garanzia da ricevere e da rinnovare.

Lo Stato è l’equilibrio in cui ogni giorno si compongono questi liberi contrasti: il compito della classe politica consiste nel tradurne le esigenze e gli istinti in armonie storiche e giuridiche. Lo Stato non è se non è lotta".

Recentemente è apparso sul "Corriere della Sera" del 12-6-2012 un breve articolo dell’amico prof. Massimo Teodori.

Il titolo dato dal giornale era: "Le Forze Liberali devono tornare a fare politica in prima persona". E’ quello che noi stiamo tentando di fare.

Il Partito Repubblicano Italiano si è posto da qualche anno il problema della liberaldemocrazia nel nostro Paese, tanto da organizzare un importante Convegno presso il Circolo della Stampa di Milano nell’ottobre del 2007, sul tema: "Liberali: quelli veri e quelli falsi".

A quel Convegno parteciparono in tanti: ricordo Piero Ostellino, Franco De Benedetti, Michele Bagella e lo stesso Massimo Teodori.

Ricordo l’intervento di quest’ultimo (e il pessimismo di cui era pregno) sulla riuscita di un progetto liberaldemocratico.

Allora come oggi il suo scetticismo non era rivolto alla bontà delle idee ma alla possibilità che una classe politica, tesa alla ricerca di prebende istituzionali, si potesse impegnare su un progetto, per la cui realizzazione, ammesso che ci si riesca, occorrerebbero anni. La teoria del tutto e subito non può albergare in un animo liberale: forse nell’animo di qualche anarcoide o extraparlamentare di sinistra.

I Repubblicani considerano la liberaldemocrazia come il prosieguo di una storia che inizia con Mazzini, critico con Bentham, alfiere della teoria dell’"utile". Con altrettanta forza lo fu di Saint Simon, di Fourier e del Comunismo.

Accanto al romanticismo di Mazzini, noi Repubblicani colleghiamo il pragmatismo di Cattaneo.

La fine dei liberali "governanti" inizia e si conclude negli anni ‘20, con l’avvento del Comunismo e del Fascismo: forze illiberali che hanno portato il nostro Paese al disastro.

Dice Massimo L. Salvadori nel suo illuminante pamphlet "Democrazie senza democrazia": "Ma vi è oggi da domandarsi se nei sistemi che continuiamo a chiamare democratici non siano intervenuti mutamenti tali da richiedere l’elaborazione di nuove categorie atte a definirli".

Noi Repubblicani ci siamo approntati per tempo ad un’elaborazione. Ci avviamo adesso ad una definizione del progetto liberaldemocratico, attraverso una vera e propria Costituente con propri organi e proprio Statuto.

Noi desideriamo che una concezione liberaldemocratica non sia una parola da ricercare su un vocabolario per conoscerne il significato, bensì un concetto politico-culturale che abbia confini limitati da un recinto che consenta di non confondersi con la moda odierna, in cui "chiunque" ha facoltà di definirsi liberaldemocratico.

Liberaldemocrazia significa combattere lo "Stato minimale" ma con altrettanta forza combattere lo "Stato predatore".

Il primo può soddisfare un liberale alla Bentham, per capirci, e il secondo un comunista vagamente marxiano.

Alla invadenza pervasiva dello Stato e del pubblico è bene opporre un atteggiamento che allontani il "pubblico predatore". Alcuni servizi siano gestiti dai privati. Lo Stato non è più in grado di accumulare debiti per gonfiare le clientele politiche, che oggettivamente sono appannaggio sempre e comunque di chi governa: al centro come in periferia. Non si deve aver paura di criticare il sindacato, quando quest’ultimo si avvia imprudentemente verso difese corporative, quando si avventa a difendere pseudo-lavoratori che il lavoro lo boicottano.

I Repubblicani vogliono portare avanti questa iniziativa che riguarda in parte sì la loro storia, ma vogliono allargare l’orizzonte a quanti (forza politiche, sociali, associazioni, intellettuali, singoli individui, ecc.) hanno a cuore le sorti del nostro Paese e mirano a costruire uno Stato più equo per tutti e fondamentalmente interclassista.

Non vogliamo essere il nuovo partito di Confindustria o dei baby pensionati, ma siamo per un nuovo modello di sviluppo industriale e del lavoro.

Il nostro desiderio è quello di ricostruire lo Stato che dall’entrata in vigore della Costituzione, dopo l’entusiasmo iniziale per la sconfitta del fascismo e della monarchia, si è andato sempre più impoverendo culturalmente, politicamente e socialmente. I Repubblicani non dovrebbero e non hanno problemi su questi temi, sono coscienti che la loro forza politica e morale si può estrinsecare su principi condivisi da altri e che essi stessi, se vogliono aprire il libro della loro storia, debbono accettare e condividere i principi e gli apporti politici che da altri provengono.

La liberaldemocrazia va difesa quindi non tanto contro chi dichiaratamente la avversa, ma da chi falsamente la propugna. E’ necessario fissare i paletti di un recinto entro cui muoversi ed entro cui ci si possa esprimere regolarmente senza alcun pregiudizio.

La liberaldemocrazia non può consentire forme di privilegio politico sulla base del quale si confonde pubblico e privato nepotismo e vero e proprio favoreggiamento ai propri sostenitori.

Liberaldemocrazia significa uguaglianza di diritti e di doveri e sovranità garantita ad ogni cittadino.

Tutto ciò oggi non è né in linea di principio (vedi legge elettorale) né in linea di fatto (vedi Costituzione inapplicata).

E’ necessario che i Repubblicani si aprano a quei settori della società che vogliono dare una spinta per ricostruire l’Italia uscita fortemente lacerata soprattutto in questi ultimi venti anni. Non è il post-fascismo, per fortuna, ma proprio per questo possiamo farcela senza morti e distruzioni.

L’esempio, per gli amici che non sono cresciuti a pane repubblicano, è dato da Ugo La Malfa, padre del repubblicanesimo e, sulle sue orme, da Giovanni Spadolini. Ugo La Malfa può essere considerato il padre della liberaldemocrazia e liberaldemocratico lo definisce lo storico Piero Craveri nel volume "Ugo La Malfa – Scritti 1953-1958" editato dalla Presidenza del Consiglio.

Infatti egli scrive: "Di questo stato d’animo quello che è peculiare in La Malfa (Ugo, n.d.s.), fin dai suoi primi scritti, è l’idea d’una ‘continuità’ storica nell’evoluzione degli ordinamenti politici liberaldemocratici …".

Più puntuale Lorenzo Mechi che nel volume "L’Europa di Ugo La Malfa la via italiana alla modernizzazione (1942-1979)" realizzato con il contributo della Fondazione Ugo La Malfa sostiene: "Ugo La Malfa era un tipico esponente liberaldemocratico".

Riprenderei da uno scritto inedito di Ugo La Malfa quello che può essere il nostro futuro di italiani (Ugo La Malfa – Scritti 1953-1958, pag.97). Egli scriveva: "Una democrazia che faccia dei problemi delle masse il suo principale problema, ma non ignorando che i problemi di massa sono sorti dagli errori di ordinamento e di indirizzo della società moderna, e che la massa, quando abbia conseguito dignità e sicurezza di vita materiale e spirituale, non è più massa, non è entità indistinta e confusa ma è mondo di individualità, mondo morale distinto e articolato".

Non da meno fu Giovanni Spadolini, che nel suo ponderoso volume "L’Italia della ragione – Lotta politica e culturale del ‘900" così scriveva: "L’Italia della ragione non solleva steccati tra laici e cattolici, non conosce discriminanti o spartiacque manichei. E’ l’Italia moderna come avrebbe dovuto realizzarsi e come non si è mai compiutamente realizzata, l’Italia figlia della soluzione risorgimentale, pur con tutti i suoi limiti, e tanto forte da essere riuscita ad assorbire nel corso di un secolo l’opposizione cattolica e ormai anche quella marxista". (Introduzione pag.X)

Ecco due repubblicani (sebbene non lo siano stati di formazione) che hanno dato lustro all’Italia intera e che non parlavano di liberaldemocrazia ma la praticavano.

Abbiamo un grande compito da svolgere che ci impegna, per la scuola da cui traiamo le nostre convinzioni, nella realizzazione di una società che, basandosi sulla forza dai valori morali condivisi, sappia offrire risposte convincenti sul piano sociale, economico e istituzionale.

La libertà dell’individuo costituisce la più grande ricchezza che l’umanità possa generare, ben superiore a quella economica, e solo ripartendo da un processo riequilibratorio tra uomo-società-economia si potrà dar vita ad una giusta azione politica che sappia evitare il sempre presente rischio di opprimere e annullare qualsivoglia società che intenda basarsi sui principi laici e democratici.

Il repubblicanesimo appartiene a pieno titolo alla scuola democratica italiana ed europea, anzi ne è il precursore così come dell’idea d’Europa. Democrazia ed Europa sostanziano il pensiero democratico repubblicano fondendosi nel più elevato spirito di pace, di fratellanza e di associazionismo. L’idea di progresso e la forza morale che devono appartenere agli uomini come alle società fanno sì che il repubblicanesimo rappresenti l’idea politica più avanzata: la strada lungo la quale incamminarsi per servire l’Umanità attraverso l’azione che deve scaturire dalla conoscenza e dall’intelletto.

L’idea repubblicana, quale alto contributo morale a favore dell’uomo, divenendo azione politica ispiratrice delle future società civili, ha arricchito negli ultimi due secoli diversi pensieri filosofici e politici, in particolar modo quelli che hanno saputo consolidare nelle rispettive società i diritti fondamentali dell’uomo che oggi, senza prova di smentita, possono essere definiti universali, favorendo, in tal modo, riflessioni complesse che hanno arricchito il dialogo con la scuola di ispirazione socialista e di ispirazione cristiana.

Nel corso dei decenni la scuola repubblicana e quella liberale, pur muovendo verso gli stessi obiettivi, spesso sono entrate in conflitto sulla specificità di alcune questioni, in particolar modo sul ruolo dello Stato, sui diritti civili, sui diritti dei lavoratori e sulla libertà economica.

Erano tempi in cui la visione dello sviluppo sociale, condizionata dalla ristrettezza dei confini nazionali, poneva diverse interpretazioni di sviluppo, seppur non necessariamente alternative, ma differenziate sul piano strategico.

Oggi, alla luce della elaborazione avviata nella seconda parte del secolo scorso, è possibile affermare che le due scuole, che in comune hanno la vittoria storica sui totalitarismi e sui regimi antidemocratici, si ritrovano a lottare unite per l’affermazione dei valori e principi minacciati da una distorta interpretazione delle regole economiche e da una globalizzazione che spesso assomiglia ad una rivincita storica del colonialismo.

Il superamento dello ‘steccato’ ideologico tra stato di diritto e stato sociale, che divise, nel corso della storia moderna, i democratici dai liberali, oggi è giunto ad una sintesi attraverso la quale il pensiero liberaldemocratico informa le società occidentali, pur nei diversi sistemi istituzionali, offrendo gli strumenti per riposizionare il welfare state nel suo giusto ruolo depurato da assistenzialismi di matrice populista. Il problema che abbiamo davanti è quello di ridisegnare il modello dello stato sociale coniugando la prassi riformatrice con la riformulazione delle istituzioni statuali in una economia aperta e finalizzata al benessere collettivo attraverso un più partecipato ruolo sociale dell’impresa e la forza innovatrice di uno Stato alleggerito da quelle forme di centralismo che hanno rallentato lo sviluppo della/e società. Nessuna forza politica oggi presente nel panorama politico rappresenta una reale alternativa riformista. Nel ‘99 D’Alema annunciò la riforma della previdenza e non se ne fece niente. Berlusconi qualcosa, e vagamente. Monti sta facendo la riforma del lavoro ed avete visto i risultati e i commenti. Senza una soluzione liberaldemocratica non ci sono riforme. E la soluzione liberaldemocratica oggi è una proposta rivoluzionaria, così come la riteneva Gobetti nel 1922. E’ questa la bandiera che abbiamo il dovere mazziniano di alzare a quasi cent’anni da allora, cent’anni persi per la democrazia italiana.

P.S.: Al Consiglio Nazionale il dibattito si svolgerà esclusivamente sulla relazione del Segretario Nazionale.